Pellicola, super8 e archivio: la montagna anti-spettacolare in 5 film dal Trento Film Festival

FacebookTwitterLinkedInWhatsAppEmail

I film del 69esimo Trento Film Festivaliniziato il 30 aprile in forma ibrida tra online e presenza – sono un termometro interessante per comprendere come si evolve l’immaginario legato alla montagna, al paesaggio alpino, metafora del rapporto uomo-animali e civiltà-natura. La selezione curata dal responsabile del programma cinematografico Sergio Fant conferma il festival trentino come punto di riferimento per il cinema in rapporto alla wilderness.

Un tema che oggi è anche un trend letterario, sportivo, spirituale: dalla ricerca di un altrove in cui riallacciarsi ai propri miti e modelli letterari – come per lo scrittore Paolo Cognetti protagonista di Sogni di Grande Nord – al racconto di epiche avventure sportive come in Cervino, la cresta del leone. Questo immaginario si traduce spesso in un cinema che sfrutta l’altissima definizione del digitale, i formati panoramici, le inquadrature zenitali, i droni, le action cam indossabili, fino al 3D, per restituire allo spettatore il massimo potenziale spettacolare della natura raccontata paradossalmente con un linguaggio anti-naturalistico, che esibisce l’uso della tecnologia.

La montagna in 5 film in pellicola

Alcuni film vanno nella direzione opposta, raccontando la montagna con strumenti espressivi differenti, tra cui la scelta di lavorare con la pellicola, in alcuni casi d’archivio e in altri girando nuovo materiale che documenta la contemporaneità, le riprese con camera a mano, e i formati più stretti per le inquadrature (4:3 o quadrati) in modo da privilegiare il ritratto o il dettaglio naturalistico rispetto al paesaggio. Girare in pellicola è una scelta estetica che porta con sé molteplici suggestioni. La granularità della celluliode ne denuncia l’essere materia, quindi natura, in opposizione all’alta definizione del digitale che ambisce a una sorta di trasparenza assoluta dello sguardo.

Le imperfezioni della superficie, spesso esibite o addirittura ricreate con effetti di postproduzione, sono un richiamo alla caducità della materia e della memoria, al passaggio del tempo. Il risultato è un mix di autenticità ed ermetismo, lirismo e nostalgia, avanguardismo e lo-fi, come si può vedere nei 5 cortometraggi del Trento Film Festival che presentiamo di seguito.

1. Le grand viveur

Le grand viveur (Italia, 2020, 21′, sperimentale, qui il link per guardarlo sul sito del Trento Film Festival) è un documentario di found footage realizzato dalla documentarista marchigiana Perla Sardella nell’ambito del progetto Re-framing Home Movies. La regista ha montato i vecchi Super8 girati negli anni ’70 dal cineamatore Mario Lorenzini, un operaio, escursionista, cacciatore e membro della comunità Walser piemontese della Valsesia. Attraverso la sua lente vediamo le stagioni passare a Priami, il suo piccolo paese al confine tra Svizzera e Italia. Mentre con la sua macchina da presa Lorenzini esplora la sua comunità, nel film emerge un secondo punto di vista che ci dà l’interpretazione del suo mondo, della sua vita e della sua idea di cinema, tra cui traspare una certa solitudine e l’esclusione dell’universo femminile. Il sound design è costituito da un tappeto sonoro intessuto di rumori e interferenze, realizzato da I Conniventi.

«Lorenzini era molto particolare rispetto ai cineamatori dell’epoca – spiega Perla Sardella –. Di solito negli archivi Super8 troviamo momenti legati alla vita familiare, ma lui non avendo una famiglia ha dovuto rivolgere il suo sguardo verso la sua comunità. Filmava la vita di montagna, ma con un’inquietudine di fondo, una nevrosi che rende il materiale girato da lui molto interessante. Il corto è una sorta di traduzione da parte mia di questo materiale, per cercare di capire chi è l’uomo della macchina da presa».

2. Gorria

Gorria (Spagna, 2020, 22′, documentario, anteprima italiana al Trento Film Festival, qui il link per la visione online) ha molti punti in comune con Le grand viveur. A partire dalla scena iniziale, che mostra la macellazione di un animale in un contesto contadino di montagna. Ma la grande differenza è che qui le riprese, in pellicola 16 millimetri, sono state girate dalla regista Maddi Barber al giorno d’oggi, nella Valle de Arce, sui Pirenei. Se non fosse per alcuni dettagli, come il fatto che la tosatura delle pecore sia effettuata con l’ausilio di un rasoio elettrico, quasi non ce ne accorgeremmo.

Il focus del film è sul rapporto ambivalente tra uomo e animali, visto attraverso microcosmo di una famiglia di pastori. Un rapporto che, sembra suggerire proprio l’uso della pellicola, rimane un mistero senza tempo.

3. Translations

Translations (Canada, Danimarca, Groenlandia, 2018, 20′, documentario, anteprima italiana al Trento Film Festival, qui il link per la visione) fa parte della sezione «Destinazione… Groenlandia» dedicata alla cinematografia legata alla grande isola ghiacciata. I protagonisti del cortometraggio di Tinne Zenner, filmmaker e visual artist danese, sono i paesaggi bianchi a perdita d’occhio dell’isola. Due montagne, Sermitsiaq e Kingittorsuaq in lingua groenlandese, sono descritte da una voce fuori campo che recita un testo accompagnato da sottotitoli non accureati, frutto una traduzione automatica poco coerente con l’originale. Una metafora del rapporto non facile con gli ex colonizzatori danesi.

La camera da presa mostra poi alcuni condomini modernisti fatiscenti e cantieri edili fermi, ricoperti da strati di neve. Sono i risultati dei piani di modernizzazione portati avanti dal governo danese nel dopoguerra, volti a far crescere la piccola capitale isolana Nuuk accogliendo popolazione non autoctona. E ancora la lavorazione ancora artigianale, ma con l’ausilio di macchinari moderni, di alcuni ossi per farne piccole sculture tradizionali, forse destinate a un pubblico di turisti.

4. La Brenva en hiver

La Brenva en hiver (Francia, 2020, 20′, sperimentale, anteprima internazionale al Trento Film Festival, qui il link per la visione online) del regisat francese Thibaut Sichet affronta una storia di alpinismo d’epoca: il tragico caso Vincendon Henry, i cui protagonisti sono due giovani che si avventuravano, nel 1956, in un’ascesa del Monte Bianco lungo il ghiacciaio della Brenva, mai percorso d’inverno prima di allora.

Suggestivi filmati dell’epoca provenienti da diversi archivi di montagna sono montati in modo mimetico con riprese realizzate oggi, dando vita a un effetto di verosimiglianza. I passaggi della vicenda sono narrati con un voice over asciutto dal regista in grado di bilanciare cronaca e identificazione con i protagonisti, il loro amore per la montagna e il desiderio di superare i propri limiti.

La Brenva en hiver

5. 1934

In 1934 (Italia, 2021, 14′, documentario, anteprima mondiale al Trento Film Festival, in visione a questo link) la pellicola è quella fotografica: protagoniste del cortometraggio del trentino Michele Bellio sono 20 immagini scattate tra la primavera e l’estate del ’34 tra le montagne del Trentino e del Südtirol e rinvenute dal regista in un armadio di famiglia.

Scatti che Bellio ha selezionato e montato costruendo un filo rosso che accompagna una storia d’amore tra due giovani, scritta con il linguaggio dell’epoca e in cui si sente l’eco delle vicende storiche che avrebbero reso quella spensierata estate una parentesi di serenità da ricordare.

Giulio Todescan

Immagine di copertina: un fotogramma da Le grand viveur

 

Ti potrebbe interessare