Libano, una nuova bomba a Tiro

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Riprendo a scrivere in questo blog dopo diverse settimane. Non che in questo periodo siano mancate storie interessanti, semplicemente è mancato a me il tempo di raccontarle. Era da tempo che volevo ricominciare, ed oggi una notizia purtroppo più eclatante di altre mi ha spinto a farlo.

immagini tratte da http://www.yasour.org

Stamattina, nella città di Tiro, al sud del Libano, una bomba è esplosa al passaggio di una pattuglia di soldati francesi della forza internazionale di pace, Unifil, ferendone 5, oltre a due passanti.

E’ il terzo incidente del genere in Libano negli ultimi 6 mesi, in cui vengono presi di mira i caschi blu prima italiani ed ora francesi. Come le volte precedenti, nessuno ha rivendicato l’attentato, e probabilmente, nonostante l’immediata apertura delle classiche “indagini per chiarire la dinamica ed i responsabili”, non si saprà nemmeno questa volta chi sia stato.

Una differenza c’è rispetto agli attacchi precedenti, e non da poco. Mentre i primi due attacchi si sono svolti a Sidone, a metà strada tra Beirut e Tiro, e fuori dalla zona di operazioni di UNIFIL, in questo caso la bomba è esplosa a Tiro, nel centro nevralgico della forza di pace. Considerando che il territorio del Libano, pur così piccolo, è un mosaico intricato e spesso indecifrabile in cui le zone di influenza delle diverse fazioni e parti politiche cambiano quasi ad ogni chilometro, il luogo dell’attentato è sempre significativo. In questo caso non ho ancora letto di nessuna ipotesi, mentre per gli attentati a Sidone si era subito puntato il dito contro i palestinesi che vivono nella zona. È certo però che quest’ultimo episodio farà crescere le misure di sicurezza e le restrizioni ai movimenti per gli stranieri nella zona.

Poi, un po’ alla volta, la tensione si allenterà, tutto tornerà alla solita apparente calma, fino alla prossima. Dopo un anno e mezzo di vita libanese mi rendo conto che questi attentati hanno un effetto diverso su di me. La preoccupazione lascia il posto ad una certa rassegnazione, ad un’indignazione che è anche una manifestazione di impotenza.

Qualche giorno fa un giornalista libanese mi diceva che “i libanesi si aspettano sempre la catastrofe”. Questo atteggiamento è un retaggio della guerra civile durata quasi vent’anni, ed è sicuramente un’arma di difesa verso queste continue manifestazioni di violenza. Il fatalismo che li spinge ad assorbire questo genere di notizie semplicemente come un altro anello di un’infinita catena, è forse l’unica risposta possibile.

Francesco Pulejo

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