Il "personaggio" trova l'autore (e il regista): Leo Muscato

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Come abbiamo visto, il feeling tra Paolo Fresu e Walter Zambaldi era di lunga durata. Lo stesso si può dire per quello tra quest’ultimo e Leo Muscato, ma invece quello tra Leo Muscato e Paolo Fresu era un’incognita. Le forti individualità non sempre riescono ad accordarsi per un progetto comune, eppure tra Fresu e Muscato scattò la giusta scintilla.
I tre si incontrarono una prima volta in un hotel della Chinatown milanese, poi a Roma e ovviamente anche a Bolzano e il progetto prese il giusto abbrivio, requisito fondamentale per trovare l’adeguato spazio in tre agende pienissime. Leo Muscato ricorda così quei primi incontri: “Con Zambaldi ci annusavamo da anni, continuavamo a dirci che avremmo fatto qualcosa insieme e Chet Baker ci fornì l’occasione giusta. Già nei primi incontri compresi che il progetto doveva basarsi su due capisaldi fondamentali: Chet Baker e Paolo Fresu. Mi misi a leggere e a studiare tutto quello che era stato scritto sul primo e lavorare con Fresu fu da subito una gioia inaudita. Ci sentimmo una prima volta al telefono, poi di persona. Ma fu un evento in particolare a mettermi nella giusta prospettiva. Fresu doveva tenere un concerto a Roma all’interno di una chiesa e nell’assistervi mi sono reso conto di quanto fosse amato dal pubblico. La chiesa era affollatissima, e alcuni miei parenti erano arrivati a Roma proprio per poterlo ascoltare. La mattina dopo il concerto ci siamo visti prestissimo, erano le otto e in quell’occasione ho compreso anche quanto Chet Baker fosse stato importante anche dal punto di vista della tecnica musicale”.

Risolte le “questioni personali”, come si diceva, restava il problema delle agende: “Effettivamente – ricorda Muscato – la mia era in overbooking, per questo ho chiesto una mano a Laura Perini, la mia compagna. Questo mi ha permesso di avere una sponda continua mentre ascoltavo e leggevo tutto quel che riguardava Chet Baker. Mi sono reso conto che la storia di Chet era una grande storia americana, da alcune biografie risultava evidente come fosse stato trasformato in un capro espiatorio per demonizzare droghe e tossicodipendenza. Un punto mi fu subito chiaro, lo spettacolo doveva essere una via di mezzo tra musica e teatro e la superstar era Paolo Fresu: tutto doveva girare attorno a lui. Poi decidemmo di ridurre l’arco temporale della narrazione e selezionammo quello che dalla sua infanzia arrivava fino a quando fu massacrato di botte tanto da spaccargli i denti”.

I biografi non sembrano concordare sulle modalità che, nel 1966, portarono Baker a ricominciare da capo perché i problemi ai denti non gli permettevano più di suonare come aveva fatto fino a quel momento. Ma dal punto di vista teatrale quella rinascita fu uno snodo fondamentale.
“Per me era un passaggio fondamentale, quel suo ripartire dal lavoro in una stazione di servizio e la lenta risalita fino alla rinascita ci forniva una traccia straordinaria. Abbiamo, quindi, puntato su questa “caduta” nonostante non fosse certamente stata l’unica. La vita artistica e umana di Chet Baker è contrassegnata da numerosi alti e bassi, ma occorreva mettere un punto, il materiale era sterminato anche in lingua italiana”.
Con il passare del tempo e il susseguirsi degli incontri, la strada si fece più stretta e arrivò il momento delle scelte più difficili per rendere concreto un sogno iniziato molti anni prima.

Ne parleremo nella prossima puntata

Le puntate precedenti 1 2 3 4

Nell’immagine di apertura: Leo Muscato (foto di Priamo Tolu)

di Massimiliano Boschi

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