Vittorio Agnoletto: «A Genova per i 20 anni del G8 diremo: “Voi la malattia noi la cura”»

FacebookTwitterLinkedInWhatsAppEmail

Questa intervista fa parte dello speciale A Nordest di Genova sui 20 anni delle giornate del luglio 2001. A Nordest Di che mette a disposizione questo spazio per ricordi, emozioni, fotografie, testimonianze che potete inviare, in qualsiasi forma, alla mail redazione@anordestdiche.com

Vittorio Agnoletto è stato il portavoce del Genoa Social Forum, la coalizione di centinaia di movimenti e associazioni che ha organizzato il contro-vertice e le manifestazioni durante il G8 di Genova del luglio 2001. Medico, all’epoca presidente della Lila – Lega Italiana per la Lotta contro l’Aids, oggi insegna Globalizzazione e Politiche della Salute all’Università degli Studi di Milano e il suo telefono squilla ancora di continuo, come faceva vent’anni fa. Il motivo? È tra i promotori – e il portavoce italiano – della campagna No Profit On Pandemic, che sta raccogliendo un milione di firme per chiedere alla Commissione europea di «liberare» i brevetti sui vaccini contro il Covid-19.

Big Pharma, le grandi multinazionali farmaceutiche, erano uno dei grandi obiettivi polemici del movimento per una diversa globalizzazione che si è riunito a Genova nel 2001. Ai non addetti ai lavori sembrava un tema lontano, che interessava soltanto i paesi poveri, oggi con la pandemia vediamo quanto ci tocchi da vicino. Qual è il filo che lega le battaglie di allora con quelle di oggi?

Il collegamento è molto più stretto di quello che si può immaginare. Tra il 2000 e 2001 ero presidente della Lila e l’adesione di questa al Genoa Social Forum avvenne proprio su vicenda dei brevetti. Avevo coordinato dal ‘97 a 2001 la campagna europea di solidarietà al Sudafrica di Nelson Mandela, impegnato in un braccio di ferro durissimo con il Wto (l’organizzazione mondiale del commercio, ndr) e Big Pharma per l’accesso ai farmaci antiretrovirali contro l’Aids. In Sudafrica il 30% delle donne tra il 14 e i 40 anni erano sieropositive, e i farmaci inibitori di proteasi, entrati in commercio nel ’96, erano costosissimi. Mandela con una legge autorizzò le industrie sudafricane a produrli senza pagare i brevetti, e 39 multinazionali fecero causa, bloccando la legge. Nell’aprile 2001, in seguito alla campagna internazionale di solidarietà al Sudafrica, Glaxo Wellcome e le altre multinazionali ritirarono la denuncia e si sedettero a un tavolo di trattativa. In quegli anni, battendoci contro il monopolio dei brevetti, ci siamo scontrati con il Wto e abbiamo toccato con mano il peso degli organismi internazionali che, pur non essendo eletti e funzionando in modo antidemocratico, incidevano sulla vita di miliardi di persone: oltre al Wto, la Banca mondiale (Bm) e il Fondo monetario internazionale (Fmi). Quest’ultimo era tristemente famoso per i piani di aggiustamento strutturale imposti ai paesi del sud del mondo e denunciati per primi dai missionari che lavoravano in quelle terre: concedeva prestiti ma vincolati a tagli obbligati alla sanità e all’istruzione pubbliche, trasformando i servizi gratuiti in servizi a pagamento. La Bm stava nel frattempo superando l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) con interventi economici che trasformavano la sanità di molti paesi secondo una logica basata sul profitto.

Curiosamente all’epoca foste chiamati “No global”, ma prendevate molto sul serio le dinamiche delle grandi organizzazioni internazionali.

Eravamo un movimento altermondialista, e il primo movimento globale della storia umana. Genova era inserita nel percorso del Forum Sociale Mondiale, nato nel gennaio 2001 a Porto Alegre. Capimmo che la battaglia per i vaccini passava per un cambiamento del ruolo degli organismi internazionali. C’è un parallelismo impressionante tra quel percorso e quanto sta accadendo oggi con la pandemia. Tra il 2000 e il 2001 la risposta della comunità internazionale alla campagna pro-Mandela fu di non cedere di un millimetro sui diritti, sul copyright legati ai brevetti, ma di costituire un fondo globale contro Aids, Tbc e malaria che raccoglieva donazioni di stati e di privati per acquistare farmaci da distribuire nei paesi del sud del mondo. Difesa dei privilegi da una parte, pillole di carità dall’altra.

LEGGI L’EDITORIALE: LA “LEZIONE” DEL G8

Il parallelismo di cui parla è con il programma Covax, con cui gli stati più sviluppati acquistano dosi di vaccino da donare ai paesi poveri?

Esattamente. Oggi di nuovo sono Sudafrica e India a chiedere una moratoria ai brevetti, per poterli produrre a costi inferiori “in casa”. Ma se non si agisce questa volta a pagarla rischia di essere tutta l’umanità, perché se i vaccini non saranno resi disponibili in tutto il mondo il virus si diffonderà ancora e selezionerà varianti più aggressive. Abbiamo attivato un’ICE (Iniziativa dei cittadini europei, ndr), uno strumento istituzionale della Commissione europea per favorire la partecipazione cittadini, attivando la campagna No profit for pandemic che ha già raccolto 200mila firme (si firma qui: https://noprofitonpandemic.eu, ndr). Il comitato italiano, di cui sono portavoce, raccoglie 110 realtà nazionali, dai sindacati alle maggiori associazioni. Se sarà raggiunto 1 milione di firme, entro tre mesi Parlamento e Consiglio europeo dovranno pronunciarsi sulla proposta. Le richieste sono che la Commissione appoggi la moratoria sui brevetti sostenuta da oltre 100 paesi, che i governi, in caso di mancato accordo globale, ricorrano a una clausola di salvaguardia prevista negli accordi Trips del Wto che consente ai paesi in difficoltà economica in caso di pandemia di produrre vaccini scavalcando il brevetto e di trovare poi accordi per risarcire le aziende, e infine che i contratti tra la Commissione e le aziende farmaceutiche siano desecretati, visto che vi sono stati stanziati ingenti somme di denaro pubblico.

Come valuta la svolta del presidente degli Stati Uniti Joe Biden, che si è detto favorevole alla revoca dei brevetti sui vaccini?

È una proposta che oggettivamente apre spazi e crea una contraddizione nello schieramento dei paesi che finora hanno impedito l’avvio di una discussione con India e Sudafrica: Regno Unito Unione Europea, Svizzera, Austrialia, Giappone, Singapore e Brasile. Gli Usa ora escono da questo fronte, di fatto obbligando il Wto ad accettare l’apertura di una discussione formale sul tema e portando allo scoperto la vergognosa posizione della Commissione europea e del governo italiano, i più strenui difensori degli interessi delle case farmaceutiche. Belgio e Irlanda, su questo, hanno posizione più critiche.

Continuando a parlare del rapporto tra nord e sud del mondo, il primo corteo delle giornate di Genova fu quello dei migranti, il 19 luglio. Vent’anni dopo è un tema ancora centrale e irrisolto. È sufficiente chiedere che l’Europa distribuisca al suo interno i migranti che sbarcano sulle nostre coste, o servirebbe uno scatto di immaginazione politica?

A Genova ci fu un forum sociale che iniziò il 16 luglio, e la manifestazione dei migranti avvenne il quarto giorno. Nei giorni precedenti decine di migliaia di giovani prendevano appunti di fronte a relatori arrivati da tutto il mondo: dall’economista francese Susan George al sociologo filippino Walden Bello. In quei giorni fummo i primi a comprendere come la questione dei migranti sarebbe stata la cartina di tornasole della globalizzazione neoliberista, di cui erano le vittime principali. Sostenevamo che i processi migratori erano anche responsabilità delle politiche neocoloniali del Fmi, con i piani di aggiustamento strutturale, e dell’Unione Europea, con gli accordi commerciali con i paesi dell’Africa subsahariana. L’Europa da una parte cercava di ridurre al minimo la possibilità dei paesi africani di difendere la propria produzione agricola con i dazi doganali, e nello stesso tempo sussidiava con miliardi di euro le grandi aziende multinazionali europee del settore agricolo, che così potevano vendere a prezzi molto ridotti in quei paesi, distruggendo l’economia locale. Si creavano così le condizioni per il fenomeno che poi è stato chiamato land grabbing: gli africani smettono di coltivare e allevare, perché importano il cibo dall’Europa, vendono le terre e ad acquistarle sono le multinazionali che vi producono o biocombustibili o monocolture finalizzate all’esportazione. Nei 10 anni seguenti l’UE riuscì a imporre gli Epa, Economic parthership agreement, che mettevano in atto questo meccanismo. Oggi avanziamo due richieste: l’istituzione di corridoi umanitari per un’immigrazione sicura, smettendo di trasformare il Mediterraneo in un cimitero, e redistribuendo i migranti tra i paesi europei, ma anche una modifica a 180° delle politiche dell’UE. Solo con una trasformazione economica strutturale smetteremo di obbligare le persone a emigrare.

G8 DI GENOVA: UN DIARIO FOTOGRAFICO. LEGGI E SFOGLIA LE IMMAGINI

Genova fu anche un grande catalizzatore di militanza. In questi vent’anni com’è cambiato l’impegno sociale?

Il Genoa Social Forum è stata l’esperienza più ampia di aggregazione di forze sociali che l’Italia abbia sperimentato dal dopoguerra in poi: oltre 1300 organizzazioni aderenti, di cui 900 italiane, dai centri sociali fino ai missionari, compresi i focolarini, che mi invitarono a un loro incontro. Ebbe la capacità di unire intorno a obiettivi comuni centinaia di associazioni che prima lavoravano sui loro singoli temi. Per dire quanto fosse popolare il movimento, nel 2001 fu Famiglia crisitana uno dei giornali che ci seguì con più interesse, apprezzando in particolar modo la proposta della Tobin Tax, per limitare le speculazioni finanziarie. Proprio quella forza, quella capacità di lavorare insieme, fu l’elemento che spinse il potere, o i poteri, a una reazione durissima, a scatenare una repressione violentissima per distruggere e soprattutto dividere il movimento. Parlo della repressione di piazza ma anche della “repressione mediatica” che, salvo rarissime voci, si scatenò contro il movimento cercando di criminalizzare il GSF con l’obiettivo di spaccarlo. A questi fatti si aggiunse l’11 settembre che modificò totalmente lo scenario globale: fino a quel momento lo scontro era tra liberismo e movimento altermondialista, dopo l’attacco alle torri gemelle la narrazione cambiò, e divenne “occidente contro terrorismo islamico”.

Cosa ricorda di quel giorno?

Ero stato invitato a Porto Alegre: l’11 settembre, insieme al premio Nobel per la Pace Adolfo Pérez Esquivel, avrei dovuto partecipare alla conferenza stampa di annuncio del secondo Forum Sociale Mondiale che si sarebbe tenuto nel gennaio 2002. Dopo l’atterraggio ero in albergo a riposare, vennero a chiamarmi. Attoniti davanti alla televisione che mandava le immagini dell’attacco suicida, i leader dei movimenti sociali brasiliani commentavano: “adesso inizierà la caccia contro di noi, ci accuseranno di essere la quinta colonna dell’attacco all’occidente”. Il movimento italiano resistette fino al 15 febbraio 2003, giorno della grande manifestazione globale contro la guerra, lanciata dal Forum sociale europeo di Firenze l’anno prima. Il New York Times scrisse che era nata la “seconda superpotenza del pianeta”. Fu il momento più alto, ma poi non fu più possibile restare insieme. Ogni associazione tornò a mettere la maglia che aveva prima, a impegnarsi nel proprio campo specifico. Quel movimento ha però sviluppato tanti fili che sono emersi negli anni successivi: dalla vittoria nei referendum per l’acqua pubblica e contro il nucleare del 2011 a Occupy Wall Street, dagli Indignados spagnoli – il leader di Podemos Pablo Iglesias era a Genova e su Genova scrisse la tesi di laurea – a Syriza in Grecia – l’ex premier greco Alexis Tsipras era diretto a Genova su una nave che fu respinta al porto di Ancona. Mi guardo bene dal voler mettere il cappello su queste e altre esperienze, ma è importante riconoscere le radici.

LEGGI ANCHE: IL GLOBAL FORUM DI NAPOLI, L’ANTEPRIMA DI GENOVA

Oggi è ancora possibile riproporre alleanze così ampie fuori dai confini nazionali?

Credo di sì, e credo che pandemia ci lasci una grande lezione: o il mondo ne viene fuori insieme o non si salva nessuno. Per questo sono necessari percorsi di riavvicinamento, ma non fondando nuovi partiti: i movimenti riescono a incidere partendo da battaglie su singoli punti, ottenendo conquiste particolari che fanno fare un salto in avanti a tutto il movimento.

Quali iniziative sono in programma a Genova per i 20 anni del G8?

Lo slogan del 2001 era “Voi G8 noi 6 miliardi“, quel del ventennale sarà “Voi la malattia noi la cura”. La pandemia è il risultato del modello di sviluppo che contestavamo, la cura siamo noi, l’alternativa che le tante reti attive ancora adesso sta proponendo. Le iniziative sono promosse dal coordinamento “La società della cura” che nell’ultimo anno e mezzo ha riunito molte associazioni su iniziative sociali nel periodo della pandemia. Non ci saranno commemorazioni, nessun reducismo, si torna a Genova per guardare avanti, con dibattiti di altissimo livello, sia in presenza che via webinar.

Cosa direbbe a un ventenne di oggi per spiegargli cosa fu Genova?

Gli dedicherei una poesia di Tomás Borge, uno dei fondatori del movimento sandinista del Nicaragua: “Siamo sognatori con i piedi piantati per terra, siamo sognatori con gli occhi ben aperti, siamo sognatori che conoscono gli amici e che conoscono i nemici”. Dico ai giovani: sognate, senza il sogno non c’è la spinta a cambiare.

Giulio Todescan

 

Ti potrebbe interessare

La “lezione” del G8
Una foto per la giornata del ricordo
Voci per la libertà, per band emergenti
La mia Africa
Libia, la guerra per immagini