Trento Film Festival 70: un manifesto di Milo Manara e le prime anticipazioni

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È Milo Manara a firmare il manifesto della 70esima edizione del Trento Film Festival, storica manifestazione sul cinema di montagna che si svolge nel capoluogo trentino dal 29 aprile all’8 maggio 2022. Dietro questo manifesto c’è una storia: nel 1997 infatti il grande artista del fumetto – nato a Luson in Alto Adige ma veneto di adozione – aveva ricevuto la commissione di realizzare il festival del Trento Film Festival ma la sua proposta era stata rifiutata dagli organizzatori dell’evento.

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milo manara manifesto trento film festival

«È un omaggio ad un grandissimo artista italiano, e la chiusura di una pagina ancora aperta: dal manifesto “non realizzato” del 1997 alla firma del manifesto del Settantesimo anniversario, dall’Ondina che seduce a quella che si ritira circospetta, nel segno di una cultura di montagna sospesa nella dimensione del mito, fra storia e leggenda» dice Mauro Leveghi, presidente del Trento Film Festival. «Una quieta malinconia traspare da quel lago scuro, che riflette con un guizzo di luce il profilo roseo delle Dolomiti. Un’atmosfera in bilico tra l’oscurità dell’intimità umana e il mistero della natura, non sempre pienamente comprensibile, e la limpida bellezza del mondo. Un’immagine che sembra cantare questo nostro tempo, tra paura e speranza, disorientamento e fiducia, con lo sguardo rivolto al futuro».

Manara ha spiegato il senso del nuovo manifesto e raccontato il suo rapporto profondo con la montagna. «Nato tra le montagne a sud della Val Pusteria, le mie prime letture sono stati i libri di Karl Felix Wolff, che raccontavano le leggende dolomitiche del regno dei Fanes e dei monti pallidi, intrisi di mistero e popolati da creature mitologiche» spiega Manara. «Si trattava perlopiù di creature mostruose, spaventose, come il crudele stregone Spina de Mul, metà mulo e metà scheletro, che si trascinava per i prati e le crode. Poi streghe, orchi e draghi. Per il manifesto del Trento Film Festival, già nell’immagine rifiutata nel 1997 avevo voluto ricreare questa dimensione fiabesca, mitologica, ma focalizzandomi sui suoi risvolti dolci e pacifici. Tra tutte queste creature scelsi  dunque quella più seducente, l’Ondina, creatura semi acquatica che si dice abitare nei laghi alpini. In questo secondo manifesto ho sviluppato lo stesso tema, ma con una variazione, musicalmente parlando, in tono minore. Una variazione più malinconica, per i toni di colore, per lo sviluppo del soggetto. Nel manifesto del 1997 la composizione era decisamente “in maggiore”, più serena, con la misteriosa Ondina al centro del maestoso anfiteatro delle Dolomiti».

Perché, ora, il tono minore? «Da allora sono successe molte cose che hanno reso sempre più evidenti le conseguenze del nostro impatto sull’ambiente anche in ambito montano» prosegue Manara. «I cambiamenti climatici e l’inesorabile scioglimento dei ghiacciai alpini, la disastrosa catastrofe della tempesta Vaia… è emerso in modo inequivocabile come gli interventi umani rischiano di distruggere l’equilibrio della natura. La nuova Ondina non è più una creatura lieta, ma impaurita e diffidente: prima ci seduceva, ora ci guarda come intrusi, pronta a immergersi di nuovo».

Destinazione… futuro: la fantascienza racconta la montagna

Tra le novità del programma della settantesima edizione c’è la storica sezione speciale “Destinazione…” che invece che dedicata a un luogo geografico – nel 2021, nell’edizione interamente online, fu la Groenlandia – diventa un viaggio nel tempo. La destinazione è infatti il futuro. Nasce così Destinazione… Futuro: un programma cinematografico che ha selezionato un film di science-fiction per ogni decennio del festival – dagli anni ‘50 agli anni ‘10 del nostro secolo – che ha utilizzato il paesaggio, la montagna e la natura per mettere in scena il futuro della Terra o dare forma a pianeti lontani, dove oggi come negli anni ‘50 solo il cinema è in grado di “portarci”; un programma eventi con ospiti ed esperti che porteranno il pubblico ad avventurarsi tra i misteri dello spazio.

Starship Troopers

Starship Troopers di Paul Verhoeven

«Non volevamo celebrare il settantesimo compleanno del festival rivolgendo lo sguardo solo al passato, riproponendo nostalgicamente classici del cinema di montagna o film premiati. Il festival di Trento ha radici profonde, ma la sua forza è sempre stata guardare al futuro: da qui è nata l’idea di lavorare sul cinema di fantascienza, su come durante questi sette decenni ha visualizzato il destino della Terra o immaginato pianeti lontani, attraverso la rappresentazione della montagna, della natura, del paesaggio» spiega Sergio Fant, che insieme a Enrico Azzano e Miro Forti ha curato il programma della sezione, in collaborazione con il Trieste Science + Fiction Festival.

Si parte dagli anni ‘50 con un classico del B-movie americano come It Came from Outer Space di Jack Arnold, girato tra i paesaggi della California e del deserto del Mojave. Per gli anni ‘60 ci si sposta nell’Europa dell’Est con The End of August at the Ozone Hotel di Jan Schmidt, film post-atomico femminista di culto del nuovo cinema ceco, mentre per il decennio ‘70 si vedrà l’unico strabiliante film diretto dal mago degli effetti speciali e dei titoli di testa Saul Bass: Fase IV: distruzione Terra, una sfida tra scienziati e formiche evolute filmata tra Arizona e Rift Valley in Kenya.

It Came From Outer Space

It Came From Outer Space di Jack Arnold

Si torna in Europa per gli anni ‘80 con un film unico, visionario e maledetto, On the Silver Globe che Andrzej Żuławski girò negli anni ‘70 (anche sui monti Tatra, nel Caucaso e nel deserto del Gobi) ma completò un decennio più tardi, dopo infinite battaglie col governo e la censura polacchi; e un altro maestro europeo dirige il film (americano), scelto per gli anni ‘90: il rutilante capolavoro pop Starship Troopers di Paul Verhoeven, che mise in scena il selvaggio pianeta Klendathu tra i paesaggi rocciosi del Wyoming e South Dakota.

Le ultime proposte, dai primi due decenni del nuovo secolo, sono dei sorprendenti ibridi: tra fantascienza e documentario il primo, L’ignoto spazio profondo di Werner Herzog, uno di film più misteriosi e potenti del regista tedesco, narrato da un alieno precipitato sulla Terra; tra fantascienza e architettura, musica e letteratura il secondo, Last and First Men del compositore islandese Jóhann Jóhannsson, il cui primo e unico film (Jóhannsson è deceduto poco dopo la fine delle riprese) ritrae gli imponenti monumenti e memoriali brutalisti disseminati sulle montagne della ex-Jugoslavia, come visti da uno sguardo futuro che ha la voce di Tilda Swinton.

On The Silver Globe

On The Silver Globe di Andrzej Żuławski

A completare la proposta un appuntamento per i più piccoli e le famiglie: Wall-E di Andrew Stanton, uno dei film d’animazione più amati prodotti dalla Pixar, è una commedia cosmica con protagonista un infaticabile robot condannato a mettere ordine su un pianeta (il nostro?) invaso dalla spazzatura e trasformato in una discarica spaziale.

Omaggio a Luc Moullet, cineasta e montagnard

Nel programma del 70esimo festival della montagna trova poi spazio un omaggio a Luc Moullet, critico e cineasta francese che nel marzo 1964 firmò un articolo uscito sui Cahiers du cinéma, la più influente rivista di cinema di tutti i tempi. Il pezzo, intitolato “Nécessité de Trento”, una brillante riflessione di ben dodici pagine su cinema e montagna a partire dal programma della 13esima edizione del festival.

Luc Moullet

Luc Moullet

All’epoca Luc Moullet aveva 27 anni. Entrato nei Cahiers du cinéma a 18 anni, ha diretto i suoi primi lavori nel 1960, alternando fin dall’inizio con disinvoltura corti e lungometraggi. Da allora ha realizzato in tutto trentotto film, giocando spesso con i canoni della narrazione tradizionale, di ogni formato e genere: commedia, avventura, western, film erotico, diario, road movie, documentario, film poliziesco…  Tutti sono legati dal gusto per il comico – Moullet viene spesso presentato come l’unico cineasta burlesco della Nouvelle Vague – e da una passione ossessiva per la montagna: originario delle Alpi del Sud, ha seguito saggiamente il consiglio di Ernst Lubitsch («Quando saprete filmare le montagne, saprete filmare anche gli attori»). Buona parte dei suoi film sono ambientati tra vette e vallate, e diversi hanno per protagonisti escursionisti e scalatori.

La pagina iniziale di “Nécessité de Trento” si apre così: «Il Festival di Trento è l’unico, tra i tanti, in cui forma e sostanza, contenitore e contenuto coincidono, qualcosa a cui Cortina e Valladolid possono soltanto ambire. Cosa c’è in Mannheim, in Barcellona, in Bordighera o in Annecy che corrisponda all’essenza del documentario, del colore, dell’umorismo o dell’animazione? I festival che si fanno lì potrebbero tranquillamente svolgersi a Gelsenkirchen, a Bari, a Caceres o a Mariaud». E culmina in una rivendicazione dello spazio per il cinema di montagna sulle pagine di una rivista come i Cahiers, che nacquero nel 1951, solo un anno prima del festival: «La montagna – e quindi, anzi, e in teoria, il cinema di montagna – è parte integrante e necessaria della vita – e quindi del cinema. Il cinema di montagna non è una specialità per iniziati, e non si può farne a meno, come del cinema di animazione. È un dato di fatto e una necessità estetica. Che qui lo si sia dimenticato per tredici anni ora mi autorizza, mi obbliga a occuparmene».

Il programma speciale Nécessité de Moullet – Omaggio a Luc Moullet, cineasta e montagnard vedrà presentati, oltre ad alcuni corti, quattro dei suoi lungometraggi “alpini”: dal primo periodo della sua carriera Les contrebandières (1966), sulla competizione amorosa a cavallo della frontiera tra due contrabbandiere, che scoprono di avere lo stesso amante, e lo stupefacente Une aventure de Billy le Kid (1971), uno dei suoi film più noti, surreale western psichedelico con uno straordinario Jean-Pierre Léaud nel ruolo del leggendario bandito americano. Più recenti sono Les naufragés de la D17 (2002), su un gruppo di eccentrici personaggi che si incrociano nella regione montuosa più desolata di Francia, e il documentario sui generis La terre de la folie (2009), in cui Moullet indaga a modo suo sull’incidenza fuori dal comune di psicosi e disturbi mentali nella sua regione natale.

Luc Moullet tornerà a Trento dal 3 al 6 maggio per incontrare il pubblico del festival e presentare i suoi film. L’omaggio è sostenuto da Institut français Italia ed è a cura di Sergio Fant, responsabile del programma cinematografico del Trento Film Festival.

Avvicinamenti

Infine il festival sarà preceduto da Avvicinamenti, sei proiezioni, una alla settimana da lunedì 7 marzo a martedì 12 aprile, tra Supercinema Vittoria, Nuovo Astra nella sede della Sala InCooperazione, Teatro San Marco e Centro per la Cooperazione Internazionale.

Si parte lunedì 7 marzo al Supercinema Vittoria con un film imperdibile per gli appassionati di alpinismo: The Alpinist. Uno spirito libero di Peter Mortimer e Nick Rosen, con le testimonianze di Alex Honnold e Reinhold Messner, è un ritratto trascinante e commovente di Marc-André Leclerc, giovane canadese autore di alcune delle salite in solitaria più audaci della storia.

The Alpinist

The Alpinist. Uno spirito libero di Peter Mortimer e Nick Rosen

Sempre al Vittoria mercoledì 30 marzo un’altra straordinaria avventura: The Rescue di Jimmy Chin e Elizabeth Chai Vasarhelyi – già vincitori dell’Oscar per Free Solo e ora nuovamente candidati per il Miglior Documentario con questo film – racconta con immagini inedite il celebre drammatico salvataggio di dodici ragazzi thailandesi intrappolati nel 2018 in una grotta allagata.

Dall’adrenalina al lungometraggio d’autore, mercoledì 23 marzo al Cinema Nuovo Astra con Piccolo corpo, opera prima di Laura Samani acclamata all’ultimo festival di Cannes, racconto del viaggio picaresco verso le montagne di una giovane madre nel Friuli di inizio ‘900, e Takeaway di Renzo Carbonera, sempre al Nuovo Astra mercoledì 6 aprile, in cui il regista di Resina (presentato al Trento Film Festival 2018) ha diretto Libero De Rienzo nel suo ultimo ruolo per il grande schermo, in una storia di sport e doping ambientata sull’Appennino laziale.

Immancabile il documentario creativo e di attualità: mercoledì 16 marzo al Centro per la Cooperazione Internazionale, nell’ambito della rassegna itinerante “Con i miei occhi – Storie afghane”, Kabul City in the Wind di Aboozar Amini ci porta sulle alture circostanti la città teatro di interminabili conflitti, recentemente caduta nuovamente nelle mani dei talebani.

Ttra le montagne della Bosnia si colloca l’ultimo appuntamento di Avvicinamenti, martedì 12 aprile in collaborazione con il Cineforum del Teatro San Marco, che ospiterà l’anteprima di Brotherhood, premiato all’ultimo festival di Locarno, in cui il regista Francesco Montagner ha documentato la vita di tre fratelli e del loro padre, predicatore islamista radicale.

Info su trentofestival.it

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