Sympathy For The Cefis

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Durante gli anni Settanta il Papa che s’impose il nome di Paolo VI parlò ripetutamente del diavolo. La prima volta, in Vaticano, lo fece nell’udienza generale del 15 novembre 1972 con queste parole: “Il male non è più soltanto una deficienza, ma un’efficienza, un essere vivo, spirituale, pervertito e pervertitore. Terribile realtà. Misteriosa e paurosa. Esce dal quadro dell’insegnamento biblico ed ecclesiastico che si rifiuta di riconoscerla esistente; ovvero chi ne fa un principio a sé stante, non avente essa pure, come ogni creatura, origine da Dio; oppure la spiega come una pseudo realtà, una personificazione concettuale e fantastica delle cause ignote dei nostri malanni”. Insomma, il diavolo esiste, si aggira fra noi, e – come già cantavano i Rolling Stones – è un uomo ricco e raffinato, che da molti anni ruba anima e fede agli uomini catturandoli nel suo gioco.

Il giornalista trentino Paolo Morando ha dedicato al diavolo (o meglio: ad una delle sue più recenti e riuscite incarnazioni) un poderoso libro di quasi 400 pagine fittissime di nomi ed eventi che però non affaticano la lettura. Anzi. Gli elementi per circoscrivere una dettagliata e avvincente demonologia (tutto il contrario di una scontata e noiosa Cefiseide) sono elencati nel retro di copertina: “Eugenio Cefis è stato per anni uno degli uomini più potenti d’Italia. Secondo molti, il più potente: la politica al suo servizio, i rapporti con i servizi segreti, le accuse di progettare disegni eversivi, fondi neri, dossier e intercettazioni telefoniche. Un grande burattinaio della Repubblica, capace di nutrire per oltre mezzo secolo una inarrestabile leggenda nera”. Ma è sufficiente anche solo esaminare la stessa copertina, sulla quale spicca un volto, da una delle rare fotografie reperibili del personaggio, attempato dalla tecnica della retinatura. Come a dire: per permettere la modellazione tonale dell’immagine, per dare profondità al racconto e tirare fuori un ritratto credibile, qui occorre lavorare su una miriade di puntini equidistanti e di dimensione variabile, soppesandoli e verificandone la consistenza, così da evitare la dissolvenza e rispondere alla domanda: “Ma cosa c’è di vero”?

Al fine di suggerire un primissimo orientamento diciamo che la struttura del volume è scandita in cinque parti (ognuna suddivisa in cinque capitoli). Non è un caso. A pagina 175 comincia per l’appunto un capitolo intitolato “Cinque per cinque”, del quale raccomandiamo l’immediata lettura a chi volesse cogliere con un colpo d’occhio sia il contenuto che il metodo dell’inchiesta. Siamo al centro della retinatura, la quale, debitamente ingrandita, consente di saggiare con maggiore cura la grana dei sospetti di cui è fatta la leggenda nera di Cefis. Lo anticipa un’intervista – composta tra il 1994 e il 1995 – dell’allora inviato di “Repubblica” Fabio Tamburini (oggi direttore del “Sole 24 ore”) ad Aldo Ravelli, il grande vecchio di piazza Affari e storico uomo di sinistra, che giustamente Morando cita già in apertura del libro (a pagina 15) e nella quale si legge questo sulfureo scambio:

Tamburini: Tra i tanti misteri dell’era Cefis, uno risulta particolarmente indecifrabile. Perché uscì di scena all’improvviso [nel 1977, ndr], lasciando l’Italia e quasi dissolvendosi? Ne sai qualcosa? Ravelli: È una storia lunga, che potrebbe diventare la trama di un film, a metà tra il giallo e l’avventura. Te lo dirò un giorno. Conosco con precisione quello che è avvenuto. Stavano per arrestarlo. E non per storie di tangenti ante litteram. I motivi erano molto più gravi, importanti. Deve ritenersi fortunato che non l’abbiano fatto.

Ecco. L’autore non si limita a richiamare questo stralcio, non si accontenta del fumus diaboli sparso da queste parole, ma compie le sue rigorose indagini, e in tal modo scopre cosa si nasconde effettivamente dietro quei motivi “molto più gravi” che avrebbero dovuto darci la chiave per comprendere uno tra i tanti terribili segreti di Cefis, cioè quello di essere un fallimentare “golpista” e la sopravvenuta necessità del suo eclissarsi dalla vita pubblica italiana dopo esserne stato un protagonista (ovviamente discusso) dall’8 settembre del 1943 alla fine degli anni Settanta. Demistificazione esemplare, della quale il caso del “Cinque per cinque” non è che uno dei tanti tasselli.

È un peccato doversi fermare solo a un breve accenno. Il libro, come detto, trabocca di storie e fornisce anche una utilissima mappa per seguire molte delle pieghe che hanno increspato, turbandola, la vita del Paese nei suoi snodi cruciali. Non potrebbe del resto essere altrimenti, visto che Cefis è stato partigiano “bianco”, consigliere dell’AGIP, presidente dell’ENI succeduto a Enrico Mattei e, dal 1971 al 1977, presidente della Montedison. Il suo nome trapela così pure nel sottofondo di alcuni degli episodi più oscuri avvenuti negli anni in cui egli rappresentava la quintessenza della “razza padrona” (dal titolo del celebre libro di Eugenio Scalfari e Giuseppe Turani, uscito nel 1974, nel quale il “boghese di stato” assume un rilievo determinante). Ricordiamo solo l’omicidio di Pier Paolo Pasolini – assassinato nel 1975 mentre stava componendo “Petrolio”, abnorme romanzo nutrito ampiamente dalla “Cefiseide” – o la tragica vicenda che riguarda lo stesso Mattei, deceduto, com’è noto, in seguito ad un attentato del quale proprio l’epilogo del libro di Morando contribuisce a svelare un sorprendente e inedito retroscena (e qui è evidente come l’esistenza di una mitologia ossessiva e ingombrante porti a scartare o celare particolari che, anche solo fornendo ipotesi alternative, potrebbero risultare ben più significativi).

Qual è allora, in sintesi, la verità sul diavolo Cefis? Umberto Eco (che di complotti se ne intendeva) dedicò alla “Renovatio Diaboli” introdotta da Paolo VI un commento (ehm…) luciferino, nel quale paventava la fine della civiltà laica incentrata sull’habeas corpus e sull’accertamento dei fatti: “Tu non vai in galera sinché non è sicuro che hai commesso un fatto cattivo, e sino a che non si è provato che il fatto lo hai commesso veramente tu, non sei colpevole, ma al massimo indiziato o imputato. Ma se il diavolo esiste, il pericolo non sta quando il fatto è commesso; sta nel momento in cui il diavolo ti tenta a commetterlo” (Il costume di casa, 1973). A lungo si è cercato di scorgere in Cefis il Belzebù ispiratore di ogni male, il “dottore” in grado di sottomettere la politica e piegare ai propri fini le istituzioni servendosi di trame indicibili. Intento che ha funzionato fiorendo anche sul silenzio ostinato e l’evanescenza che lo stesso Cefis adottò per sopire – o forse far solo scordare – tutte le accuse sul suo conto (dalle più eclatanti e indimostrabili a quelle più modeste ma fondate, che comunque era meglio nascondere sotto al tappeto delle prime). Il mistero, però, non può essere dissolto da altro mistero. Più che simpatia per il diavolo, allora, in questo libro Morando ha dato prova eccellente di averne per la ricerca dei fatti. Fatti che, alla fine, sono i soli a possedere il diritto di parlare, ovviamente avendo il talento, l’abilità e la pazienza di saperli interrogare.

Paolo Morando, Cefis – Una storia italiana di potere e misteri, Laterza 2021, pagine 375, Euro 20

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